
Tokyo 2020
Sono arrivata in Giappone il 12 agosto. Sendai. Accolti e trattati da re e regine: camerieri dedicati, cuochi tutti per noi. Ogni desiderio un ordine.
Non tutto però è oro ciò che luccica. Siamo in una bolla che più bolla non si può. Ma lo accetti, perché sai che è per rendere possibile il sogno paralimpico.
Passano dieci giorni, trasferimento a Tokyo: villaggio olimpico, wow. E un assaggio di libertà, un po’ di ossigeno per tutti noi.
Cerimonia di apertura. Stadio praticamente vuoto. Luci, scenografie, festa dei popoli. Ma manca qualcosa ed è il calore del pubblico. “Ma tu senti che è iniziata?”. “No”. Bene, vuol dire che non sono l’unica, che non sono sola in questa sensazione di straniamento.
Iniziano le gare e comincio a sentire qualcosa. Le prime medaglie, le gioie e le delusioni dei compagni di Nazionale: sento che i Giochi sono iniziati. Dopo tre giorni di attesa, è il mio turno. Inizia la mia seconda Paralimpiade. Arrivata al blocco, risento le sensazioni da Gara. Non c’è il pubblico, ma quando sei lì ti isoli, concentrata sull’obiettivo, e non senti più nulla. Sei tu, l’acqua, le avversarie.
Quattro gare, una fatica. Se ci penso, ho emozioni contrastanti.
La gioia incontenibile per l’argento nei 100 rana, con quella rimonta che sì, lo dico anche io, faccio quasi fatica a crederci, che forse nemmeno io mi aspettavo. Tanto più dopo le batterie, con i tempi delle avversarie che mi avevano messo paura. Ma poi, in finale, è uscita la gara che volevo.
Ma anche il vuoto, dopo quel quarto posto nei 200 misti, per un soffio. Un vuoto che però si colma, più ci penso, dalla consapevolezza di non aver potuto fare nulla di più. Ho dato tutto, ho perso il podio per un metro. Fa male, ma non ho rimpianti. Ho terminato così, con quel secondo e poco più dalla seconda medaglia: un modo malinconico per finire una Paralimpiade, ma un ottimo trampolino di lancio per il riscatto, tra tre anni. Tutto fa parte del gioco a cui ho scelto di giocare: quindi Parigi 2024 arrivo!
Voglio dire grazie, un grazie enorme, a tutte le persone – e sono davvero tantissime – che mi hanno regalato un pensiero, anche a distanza. Vi assicuro che ho sentito tutto il vostro affetto: quelle atmosfere di attesa per le mie gare che avete creato nelle vostre case sono state per me una grande spinta.
Ecco perché le mie Paralimpiadi hanno avuto il pubblico: siete stati voi.
Ho voglia di fare tanti ringraziamenti: in questi giorni avrò l’opportunità. Ma lasciatemi ringraziare, qui, ora, Anna e Pietro: senza mia sorella e mio fratello non sarei io.
E grazie a Matteo, il mio allenatore: ci hai creduto ogni giorno, per poi finire a bagnarti delle mie lacrime di gioia e non solo.
Grazie anche a Francesco, il mio preparatore: ti sei messo in gioco con me, senza paura, nonostante la novità. Il tuo atteggiamento è una cosa rara e preziosa e mi sento fortunata ad averti incontrato.